"Design should make the known become unknown", il punto di vista di Kenya Hara

Per l’ultimo post prima della pausa estiva non potevo che proporvi un viaggio, questa volta nel tempo.

Immaginate di salire una grande scala di marmo bianco, tutto intorno luce e ali di carta che costeggiano un corridoio sospeso che vi incita a scoprire il contributo femminile al design italiano, state per percorrerlo, per capire se vi porterà in un luogo disegnato dalla mente di Lewis Carroll, poi una foto appare a sovrastarvi: due uomini vi guardano.





Il loro corpo è una macchia nera indistinta da cui spuntano solo le mani e la testa, come se sotto i loro maglioni a collo alto, i loro pantaloni, persino le loro scarpe (di cui non si riesce a distinguere il contorno, divorato dal pavimento nero su cui sono appoggiate), ci fosse solo vapore.  Vapore che si muove alla ricerca di una via d’uscita, vapore che potrebbe trovarla attraverso i loro occhi e entrare nei vostri.



Sopra le loro teste un titolo spicca in bianco: Neo-Prehistory – 100 verbs, sotto le loro mani i loro nomi: Andrea Branzi e Kenya Hara, due fra i più importanti e interessanti designer contemporanei. Hanno portato alla XXI Triennale di Milano una mostra che riesce nell’impresa di trasformare oggetti in parole e parole in oggetti, dando a uno dei concetti cari a Kenya Hara (l’«awakening», inteso come “risveglio” dalla percezione abituale che abbiamo del mondo ma anche come “consapevolezza” di noi stessi in questa moltitudine) un significato tangibile.




Entrando nell’unica immensa sala della mostra, dove il nero e gli specchi dilagano come in un irrefrenabile effetto Droste, troverete cento dolmen di metallo su cui sono stati ‘appoggiati’ cento verbi a tentare di racchiudere e riscrivere la storia dell’uomo. Accanto a ogni pala metallica un oggetto che esprime e spesso ribalta il significato di base del verbo che affianca, come se il visitatore/viaggiatore venisse sfidato a reinterpretare oggetti dall’uso comune (cellulari, carrelli del supermercato, medicine, valigie) accanto a oggetti remoti (tavole d’argilla, fermagli romani, campane medievali) sfilati dal loro contesto. Si risveglia così la voglia a osservare ciò che ci circonda da un punto di vista diverso, provando a trovare la propria personale interpretazione della storia. Ecco perché, man mano che l’esplorazione di ognuno dei cento verbi che Branzi e Hara ci propongono andrà avanti, sentirete di aver attraversato ben più di uno specchio, riscoprendo un paese delle meraviglie che è stato sempre attorno a voi e che ora grazie a 100 verbi e 100 oggetti avete riscoperto.

La difficoltà sarà tornare da questo esperimento sensoriale, conservando almeno una scheggia di meraviglia per affilare le vostre giornate. Per aiutarvi, ho usato molti dei 100 verbi dell’esperimento di Branzi e Hara in questo post. A voi la ricerca.

Avete tempo fino a domenica 4 settembre, quando riprenderemo con le nostre uscite domenicali, per darmi una risposta. 

 



 

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