Incontro con Jorge Volpi - Memoriale dell’inganno.

Raggiungo lo scrittore messicano Jorge Volpi nella sua camera d’albergo romana, dove si sta riposando tra un’intervista e l’altra dedicata a promuovere Memoriale dell’inganno, il romanzo (edito con Mondadori) in cui mette in scena un complesso inganno familiare che ha ramificazioni nei sistemi di potere economico e finanziario degli USA e che, tra ricordi e flashback dei personaggi, prova a spiegare non soltanto le motivazioni storiche ed economiche che hanno portato alla grande crisi del 2008, ma anche quelle del protagonista del romanzo (che ha lo stesso nome dell’autore) pronto a mettere al rischio la sussistenza di milioni di persone pur di raggiungere i propri target di guadagno.

Jorge  Volpi, cofondatore del Crack Movement (manifesto letterario nato in Messico negli anni’90) propone al lettore una trama che sembra essere stata costruita in bilico fra saggio socio-economico e romanzo noir. Mi piacerebbe iniziare proprio da questo punto la nostra chiacchierata con Jorge Volpi, chiedendogli da dove nasce questa idea.

Image result for memoriale dell'ingannoL’idea del romanzo nasce da tre diverse fonti. Autobiografica, perché quando ho visto il crollo di Lehman Brothers nel luglio 2008, ho capito che iniziava una nuova crisi mondiale. Io sono nato a Citta del Messico nel 1968 e ho vissuto cinque crisi economiche, soprattutto ricordo quella del 1982, molto severa per il mio Paese e per la mia famiglia. Mio padre era medico e noi avevamo una vita normale e agiata, poi all’improvviso non era più possibile andare al ristorante o in vacanza. La classe media messicana era stata messa a terra. Perciò, quando mi trovai a fronteggiare una nuova crisi economica nel 2008, pensai che i tempi per me erano maturi per raccontare cosa vuol dire fronteggiare una crisi, come si sviluppa e quali effetti produce sulle persone. E questa è la prima grande motivazione che mi ha spinto a scrivere questo romanzo. La seconda è nata da una ricerca fatta per un precedente romanzo, che mi ha permesso di scoprire la figura di Harry Dexter White, un economista che è stato il creatore del Fondo Monetario Internazionale della Banca Mondiale e che è stato accusato di essere una spia sovietica. Mi è sembrato un ottimo spunto per un romanzo. La terza ragione è quella che guida gran parte della struttura narrativa che ho costruito: volevo scrivere una saga familiare, parlare dei segreti e degli inganni fra due generazioni.

Il rapporto fra padre e figlio è molto forte in questo romanzo. Da un lato abbiamo Noah (il padre) «una cassaforte che custodiva solo ideali e buoni sentimenti», che ha lavorato per il bene e la prosperità degli USA e alla fine è stato accusato di tradimento (la faccia buona del capitalismo alla Dexter White) e dall’altra Jorge (il figlio) che ha sfruttato per il proprio tornaconto personale ciò che il padre aveva custodito, senza curarsi dei danni che questo poteva causare al sistema. Jorge si giustifica dicendo che non era l’unico a sapere ciò che stava accadendo. Allora condividere la colpa vuol dire essere meno colpevoli?

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Jorge Volpi
La figura di Jorge non è quella di una vittima della crisi, lui è un cattivo. È uno dei responsabili. La sfida è stata creare un cattivo simpatico. Jorge è un bugiardo che mente a tutti, dalla sua famiglia al mondo, con l’eccezione del lettore che sarà l’unico a conoscere la verità. Parte di questo cinismo è trovare continue giustificazioni alla sua opera. Dire che è diventato il capro espiatorio al posto dei politici e degli economisti che rimangono ricchi e potenti ai loro posti di comando, fa pensare al lettore che c’è qualcuno di ancora più cattivo di Jorge e questo fa avvicinare il lettore all’io narrante.

Lei dipinge il sistema finanziario che ha portato alla grande crisi del XXI secolo come un organismo senza scrupoli che antepone le analisi statistiche alle moltitudini che ci sono dietro. Molte volte il capitalismo è stato disegnato in questo modo, penso per esempio al film di Oliver Stone Wall Street o al più recente The wolf of Wall Street di Martin Scorsese. Dagli anni  ’80 a oggi non sembra essere cambiato molto, davvero l’avidità è l’unica variabile di questo sistema?

Ho letto il libro da cui è tratto il film di Scorsese e ho visto i film. Credo che l’ideologia neoconservatrice o neoliberale che dir si voglia continui a essere quella dominante, per questo ciò che è accaduto negli anni ’80 continua ad accadere anche oggi. Nel 2008 e nel 2009 i politici dicevano che il sistema economico mondiale andava pesantemente riformato, ma a sette anni di distanza non è cambiato molto, le riforme sono state timide e continuiamo a vivere senza aver imparato molto dal passato.

Memoriale dell’inganno ha continui riferimenti musicali, tanto che le varie parti del romanzo sono suddivise come se fossero atti di un’opera lirica, con overture, duetti (pensiamo al pianto dei due gemelli di Jorge, che lui stesso paragona a un duetto cantato) e cori. Perché tale parallelo fra opera lirica e narrazione e cosa rappresenta la musica per lei?

Questa è l’unica cosa che condivido con Jorge personaggio. Entrambi siamo fanatici dell’opera lirica. Io sono direttore di uno dei festival più importanti di musica teatro e danza dell’America Latina e sono anche diventato produttore di opere liriche. Ho scritto anche il libretto di un’opera. Per creare questo personaggio, mi sono anche ispirato alla figura di Alberto Vilar, finanziere americano di origine cubana che si è arricchito negli anni ‘80, grande appassionato di opera e finanziatore di rappresentazioni nei teatri più importanti del mondo, diventando amico dei più importanti musicisti dell’epoca. Nel 2007 e 2008 la polizia ha scoperto che finanziava le sue opere con i ricavi delle sue attività finanziarie illegali. Mi è sembrato molto interessante inserire queste caratteristiche nel “mio” Jorge.

Nel suo romanzo ci sono moltissimi riferimenti storici ed economici a eventi e personaggi che hanno contribuito a modificare le nostre vite attuali, nel bene e nel male. Quanto tempo ha impiegato a documentarsi per scrivere questo romanzo?

Molto tempo. Io non sapevo nulla del mondo finanziario. Quando nel 2008 ho iniziato a lavorare a questo romanzo, sono partito proprio dalla ricerca. È stato come fare una tesi di laurea sulla finanza internazionale. Il libro è uscito solo nel 2014, quindi dei sei anni necessari alla sua creazione, quattro almeno sono stati di ricerca. Mi ha aiutato anche vivere in Spagna durante la crisi economica europea, così come a Princeton, nella prestigiosa università americana dove ho insegnato per un anno, usufruendo della loro meravigliosa biblioteca.

Image result for jorge volpi klingsorFa un uso molto articolato del FB nel suo romanzo, con continui e inattesi salti temporali, alternando le vicende finanziarie e politiche a quelle personali dei personaggi, come se volesse interrompere sempre la narrazione un attimo prima di svelare al lettore un passaggio fondamentale della storia. È stata questa la sua intenzione fin dall’inizio e non ha temuto che potesse impattare negativamente sul ritmo?
Io ho cercato di raccontare questa storia attraverso le vite dei personaggi, benché volessi anche raccontare la storia del capitalismo nel Novecento. Tutto però doveva avvenire attraverso la vita dei personaggi, la loro mente, i loro ricordi, che sono la parte più importante del romanzo. Il ritmo della narrazione è molto importante per me, per questo cerco sempre di dedicare del tempo a costruire la struttura del romanzo in modo che i diversi livelli narrativi risultino ben armonizzati e non banali.

Quanto dedica a questa fase preparatoria?
Per questo libro ho dedicato due anni alla preparazione della struttura narrativa e dei rapporti fra i personaggi e gli eventi storici e sociali che gli corrono intorno.

Ho letto che a 13 anni ha deciso che sarebbe diventato uno storico medievalista. Sempre a quell’età ha iniziato a scrivere il suo primo testo, un ampio prologo alla storia del medio evo. La scrittura e la storia hanno quindi fatto parte della sua vita fin dall’inizio e possiamo dire che ha realizzato il suo sogno?

Sì, in parte. A 13 anni volevo diventare storico e interessarmi al Medioevo, ma questa è stata forse la mia prima finzione, perché la mia vera passione, la più profonda è sempre stata la scrittura. Certo, il mondo della storia è sempre presente nei mie romanzi, soprattutto nei romanzi tradotti in Italia.

Qual è stata l’influenza di Carlos Fuentes sul suo modo di scrivere ed è vero che decise che avrebbe fatto lo scrittore dopo aver letto Terra Nostra (opera ispirata ai Finnegans Wake di James Joyce, che cerca le radici della società latino americana attraverso 20 secoli di storia)?

Image result for terra nostra di fuentesTerra Nostra è stata particolarmente importante per me, anche perché quando ho letto questo libro non avevo ancora scoperto Joyce. È un incontro che ha segnato profondamente il mio modo di scrivere e anni dopo, quando ho pubblicato In cerca di Klingsor, Fuentes mi ha cercato e ha scritto molto bene di questo libro. Da quel momento siamo diventati amici e lo siamo stati fino alla sua morte. Per me è stato un mentore, ha avuto molta fiducia in me, ancora oggi continua a essere un punto di riferimento.

 Oltre a Fuentes quali sono i suoi riferimenti letterari? Nel libro cita Nabokov, ma c’è stato un libro da cui non si è staccato mai durante la creazione di questa storia?

I latino americani, a cominciare da Borges e Juan Rulfo. D’altronde ho fatto di Memorie dell’inganno un romanzo sulla ricerca della figura paterna, tema principale di Pedro Paramo di Rulfo, romanzo paradigmatico della letteratura messicana, ma penso anche a Thomas Mann e alla sua Montagna Incantata e al Doctor Faustus, due modelli della capacità di Mann di mescolare la grande storia alla piccola storia, dando vita a immensi romanzi che sono uno specchio della sua opera, una metafora del contesto sociale che lui viveva, conservando un’importante componente simbolica, cui sono particolarmente legato.

Nella realtà editoriale italiana spesso si chiede all’autore esordiente e non di creare una storia semplice, perché il lettore vuole e ha bisogno di storie semplici. È proprio così?

Questo accade in molte parti del mondo, non solo in Italia. Pensiamo che ci sia una crisi della lettura e per questo gli editori vogliono pubblicare solo libri “semplici”, che abbiano un successo garantito a breve termine. Credo però che in molti grandi romanzi la storia sembra essere semplice, ma è molto più complessa di quello che appare. Il problema è quello del mercato e di alcuni editori che sottostimano i lettori e credono che non siano capaci di leggere cose più complesse. È un errore, ma non diciamo che si legge poco. Siamo invece in un momento storico in cui si legge tanto, come dice Alessandro Baricco nel saggio I Barbari, rispetto a cinquant’anni fa i lettori sono molti di più, non sono più circoli di élite molto ristretti, adesso esiste una classe media che legge e molto. Il problema non è se esistano o meno i lettori, perché esistono, ma cosa sono abituati a leggere e sta proprio agli autori e poi agli editori che in essi credono ampliare questa aria di lettura.

In una sua intervista ha detto che un “romanzo è un modo per esplorare il mondo”. Ci sono delle regole in questa esplorazione?
Non credo che esistano regole precise. C’è un’idea del romanzo da cui partire. Da quando ho cominciato a leggere, all’età dei sedici anni, i romanzi che ho amato di più sono quelli polifonici che cercano di mettere in discussione il mondo che pensiamo di vedere e conoscere, sono quelli che riescono a metterci in discussione e che ci fanno scorgere la complessità.

Grazie allora a Jorge Volpi per il suo tempo e per averci dimostrato con il suo Memoriale dell’inganno che la semplicità spesso nasce dalla complessità.



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