L’orso che bloccava il cambiamento


La gestione del cambiamento è una capacità che tutti oggi cercano di sintetizzare in ricette alla Dukan, in cui i risultati arrivano subito e con la stessa fretta scivolano via. Per molti gestire bene il cambiamento significa essere sempre pronti a cambiare, ad adattarsi rapidamente e senza troppi traumi al contesto in cui si vive che però (come affermò a suo tempo Zygmunt Bauman) è diventato liquido. Liquido il lavoro, liquidi gli affetti, liquido il tempo, liquidi quindi anche noi.
Veloci, bisogna riadattarsi, resettarsi, rinnovarsi, moto perpetuo, per non diventare il colesterolo di tanta oleosa liquidità, che a volte sommerge per lasciare tutto inalterato.
Se però osiamo pensarci, solo per un attimo, non per fermare il cambiamento, ma per contribuire, per capire dove è meglio scorrere via, arriverà subito qualcuno con il probiotico più adatto a farci dissolvere, perché il flusso non si deve fermare, mai.
Qualche giorno fa ho riletto per l’ennesima volta a mia figlia una delle sue (anche mie in verità) favole preferite L’orso che non lo era di Frank Tashlin (Donzelli editore – 2011). La storia è metafora perfetta del condizionamento della società sul pensiero individuale, in nome di un’adattabilità perpetua alla maggioranza. Un orso si addormenta nella sua caverna per l’inverno e quando si sveglia, qualcuno gli ha costruito attorno una fabbrica. L’orso è ancora lì, mezzo addormentato, che cerca di capire cosa è accaduto, che subito arriva il “fluidificatore” nelle vesti di capo reparto che gli dice che non è un orso ma un operaio, «un babbeo, col cappotto di pelliccia e la barba da tagliare». L’orso tenta di resistere, di spiegare il proprio punto di vista e così inizia a girare nel bailamme burocratico procedurale della fabbrica, salendo di livello in livello, dal direttore al terzo vice presidente, dal vice presidente fino al presidente. Tutti gli ripetono cos'è e cosa non è.
Persino alcuni orsi, interrogati sulla natura del protagonista non riconoscono il lui un loro simile, perché lo vedono in mezzo agli uomini e quindi decidono che l’orso non è altro che un uomo: un babbeo, col cappotto di pelliccia e la barba da tagliare. Alla fine il probiotico ha successo e l’orso si convince che se tutta quella liquidità gli continua a ripetere che non è un orso, forse davvero è soltanto un babbeo.
La fine della storia non ve la racconto, ma se qualcuno insiste a chiedere di mutarvi in un orso, in una pecora o in coleottero, dicendo che quel cambiamento (e non un altro) potrà portarvi soltanto vantaggi, prendetevi un momento per riflettere e cercate di capire voi cosa ne pensate, veloci però, mi raccomando.


Commenti

Post popolari in questo blog

Un giorno come questo di Peter Stamm

L’ansia di fare, sì, ma di chi è la colpa?

Nessuno, nemmeno la pioggia, ha così piccole mani