Anche il buio è un sole

Nella vita si può esser sfortunati o fortunati oppure sentirsi tali, ma difficilmente una sfortuna diventa un’opportunità con tanta rapidità com’è accaduto agli spettatori che sabato 23 marzo si sono fatti coraggio e, non contenti della settimana che li aveva appena intinti in una gorgogliante tavolozza di problemi e recriminazioni, hanno deciso di regalare un paio d’ore del loro tempo al teatro. Ma non hanno scelto una commedia, né un luminescente musical, no, queste persone hanno deciso di scendere nel sottosuolo pirandelliano, con una delle sue novelle più oscure e estreme: La trappola.


Lo hanno fatto affidandosi ad un Caronte d’eccezione (Gabriele Lavia) che ha rivisitato il testo di Pirandello per ricavarne una pièce quanto mai attuale e potente.

Ma quello che non si potevano di certo aspettare questi coraggiosi spettatori era che in quella stessa sera il sindacato del personale del teatro Argentina di Roma, dove la rappresentazione era in cartellone, avrebbe indetto uno sciopero che puntava a rendere impossibile far andare in scena Lavia e compagnia. Non c’erano tecnici del suono, né delle luci; non c’era chi apriva e chiudeva il sipario, non c’era chi avrebbe reso gli spettatori invisibili spioni di un Lavia splendente. Insomma c’era di che annullare lo spettacolo. C’era, ma non c’è stato. Gabriele Lavia è uscito a palcoscenico e teatro illuminato e ha detto di volerci provare ugualmente, ma per farlo aveva bisogno dell’aiuto del pubblico, della loro immaginazione, che avrebbe dovuto far buio dove c’era luce e luce dove c’era buio, musica dove c’era silenzio e molte voci dove ne esisteva una sola. Insomma si trattava di fare un salto nel passato di molti secoli, quando gli spettacoli erano en plein air e i microfoni non esistevano e tutto si basava sull’immaginazione di chi non aveva lì pronto uno smart phone a riscaldargli la tasca e i video in streaming se li doveva creare nella propria memoria.

All’inizio il pubblico ha scalpitato, la recita è iniziata e loro erano lì, più visibili dell’attore, si chiedeva loro di partecipare, di interagire. Facile penserete, lo si fa da anni sulla Rete. Ma con il proprio nickname sui social network è molto più facile. In quella sera di sabato, di nickname non ne esistevano, di volti e di espressioni c’erano solo quelle vere. E allora bisognava far ripartire una macchina vecchia e impolverata, ma su cui da bambini abbiamo corso, eccome.

Per chi ce l’ha fatta quella serata rimarrà nel suo database visuale e emozionale per sempre, senza bisogno di schede di memoria aggiuntive. Avrà scoperto che una luce è buio e che un buio può ritornare luce e non esiste la versione migliore dell’una o dell’altra, ma solo quella che avrà vissuto. E se la vita, dice Pirandello per bocca di un immaginifico e strepitoso Lavia, è «una marsina stretta» e noi non possiamo che restare immobili o muoverci e strapparla, iniziando la nostra partita con la morte, aver tenuto in esercizio la nostra immaginazione non potrà che aiutarci in questa complessa schermaglia, che ci vedrà perdenti sì, ma speriamo con un po’ di gusto.



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