L’origine e l’uso. Questione di punti di vista…

Sapete perché il punto interrogativo ha assunto la sua forma curvilinea? Si tratta di una contrazione dell’usanza medioevale degli amanuensi che, nella loro lenta e paziente attività di riscrittura, iniziarono a utilizzare alla fine della frase interrogativa due lettere [qo], abbreviazione della parola latina “quaestio”, inserita dai monaci a fine periodo per facilitare la comprensione del testo al lettore. Prima di tale innovazione, la frase interrogativa non aveva alcun tipo di visualizzazione, a meno di non ritornare al punto e virgola [;] del greco antico. Col passare del tempo la “q” sormontò la “o”, fino a trasformarsi nel segno d’interpunzione che noi tutti utilizziamo. E la virgola? Sapete perché si chiama proprio così? Sempre dal latino “virgula”, ossia piccola verga, bastoncino. E difatti potrebbe essere un bastoncino ricurvo, come quelli bianchi e rossi di zucchero che si succhiano a Natale, che appendiamo al nostro albero di parole per dare una corretta visione d’insieme a chi si avvicina al nostro pensiero.

Potremmo continuare a lungo sull’origine e la denominazione dei maledetti, trascurati, apparentemente sconfinati (ma mai insignificanti) segni d’interpunzione, ma potrebbe essere più utile soffermarsi sul loro utilizzo. Impresa ardua, perché la lingua, se viva e cioè parlata e aperta a mille contaminazioni, è un animale dinamico e sfuggente, che sì, ha regole, ma anche queste sono (esistono) finché qualcuno si stanca di applicarle e ne propone una revisione. Se questa prende piede, i linguisti, la trasformeranno in una nuova regola, che soppianterà la precedente e che, a sua volta, sarà sostituita dalla caparbietà di un altro e più temerario innovatore o “tronista” che dir si voglia. Pensiamo per esempio a simboli secondari e per molti inutili che d’improvviso hanno avuto la loro rivincita (quante volte usavate il cancelletto [#] prima dell’arrivo di Twitter?) o a orrende giustapposizioni semantiche come “anche no”.

Cosa fare allora davanti a tale chilometrico serpente di simboli in continua mutazione? Qualche idea ce la fornisce un libro appena arrivato sugli scaffali: Questo è il punto. Istruzioni per l’uso della punteggiatura di Francesca Serafini, edito da Laterza. Ahimè, non sarà facile scovarlo, defilato nella sezione di “critica letteraria” o “saggistica” o peggio “miscellanea” (a seconda del livello di apertura mentale della vostra libreria e della curiosità dei suoi lettori), incastonato in qualche angolo sommerso da migliaia di volumi dedicati alla dieta delle meraviglie del dottor D. o al modo migliore per innaffiare a distanza i vostri gerani durante l’estate. Ma voi non rinunciate a cercare o a ordinare. La lettura procederà pulita e limpida come mai. Perché? Perché tutti i segni d’interpunzione in questo libro sono esattamente dove dovrebbero essere e il cervello, che pure è capace di eliminare l’errore del refuso, impedendo all’occhio di registrarlo (c’è un esempio illuminante di questa capacità proprio nel testo della Serafini), ve ne sarà grato. Ecco è un libro da comprare per sentirsi più leggeri e per alleggerire anche chi, dopo questa lettura, avrà a che fare con il mare di parole che tutti noi mettiamo su carta. A proposito è un libro che i fan di Scrubs, la serie televisiva creata da Bill Lawrence, ameranno, ma non vi dico il perché. Dovete leggerlo. Questo è il punto.







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