"Al limite della notte" di Michael Cunningham - impressioni - seconda parte

Il pregio di questo libro è quello di riuscire a rendere interessante la normalità.
Peter, prototipo del "sensibile-responsabile" (intrappolato dai suoi sensi di colpa in una vita che sente giusta ma non sua), alla continua ed instancabile ricerca di prove che dimostrino la sua diversità, scopre, “riscopre”, di essere fin troppo normale.

Le sue ansie, le sue paure, le sue contrastanti certezze, i suoi pericolosi dubbi sono presenti anche negli altri. La differenza sembra essere nella gestione di questi dubbi che porterà Peter a mettere in discussione tutta la sua vita, senza mai arrivare a compiere quella scelta definitiva che invidia in suo cognato, venera in sua moglie e teme in sua figlia.
Ma anche questa è un’illusione. La sicurezza degli altri personaggi è una lettura della mente di Peter, apparentemente necessaria a spronarlo a decidere, sebbene del tutto ineficace. Peter è allora normale come tutti gli altri e questa consapevolezza lo logora, costringendolo a creare fantasie che gli dimostrino che non è ancora troppo tardi per essere diverso.

“Al limite della notte” è uno scrigno di metafore e di ricercatezze stilistiche, come spesso accade nei romanzi di Cunningham, dove il non detto che si agita nella mente dei personaggi è il migliore dei dialoghi possibili. Il lettore resterà impigliato nelle dissertazioni silenziose che si rincorrono nella testa di Peter, tanto da provare un fastidio viscerale dalla presenza di alcuni dialoghi “reali”.

Commenti

  1. Ho iniziato questo romanzo con le migliori intenzioni, ma non sono riuscito a finirlo.
    Cosa mi ha bloccato?
    Forse troppa autoanalisi?
    Aldo

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